La valle degli istrici nudi
Racconto a puntate scritto e illustrato da Lisa Gelli, pubblicato su Emporium di maggio/giugno – luglio/agosto – settembre/ottobre 2015
Esiste una valle, nascosta tra l’Italia, il Maghreb e l’Africa subsahariana, interamente abitata dagli istrici, i mammiferi roditori chiamati anche volgarmente porcospini che spesso attraversano la strada di notte in posizione eretta, come degli gnomi irsuti in cerca di mete al di là dell’asfalto.
Prima che gli istrici si coprissero di aculei, vivevano nudi in questa sinuosa valle dalla superficie liscia e morbida, abitavano case di feltro e si salutavano strofinandosi in un caloroso abbraccio.
Ma dove sono finiti tutti gli istrici nudi? Non esistono testimonianze di questa misteriosa scomparsa, tuttavia mia nonna che aveva gli occhi di perla verde e dell’Africa conosceva la pelle, i sapori e l’afa, mi raccontava spesso la storia della valle degli istrici nudi e di quando all’improvviso si vestirono di spine.
Tutto iniziò un 23 qualunque di un mese qualunque, ma di un anno ben preciso: era il 1758, data in cui fu registrata ufficialmente nei libri di biologia la specie Hystrix cristata Linnaeus.
Un giorno, un piccolo istrice di cui non si tramanda il nome ma che chiamerò per comodità Bebo, chiese a suo padre un abbraccio e lui gli disse di no, preso com’era dal suo lavoro di grande maniscalco della valle. Per il dispiacere, sulla schiena di Bebo nacque un neo, a righe sottili bianche e nere, duro come la spina di una rosa e alto come la pinna di un pescecane appena nato.
Ad ogni dispiacere e a ogni dolore, il neo di Bebo cresceva e, col passare degli anni e delle delusioni, al suo fianco nacquero altre pinne striate. Verso i vent’anni la sua schiena era completamente ricoperta di aculei, affilati come le parole delle ex fidanzate e inaspettati come le bollette del gas. Bebo cominciò ad aver paura dei suoi simili e a vivere sempre più nel terrore di essere sgridato o deriso. Gli altri abitanti della valle erano molto dispiaciuti nel vederlo così triste e solitario, ma ogni volta che qualcuno si avvicinava, Bebo per difendersi perdeva le spine e i suoi amici ricevevano soltanto ferite in cambio di puro Amore. Così, di tutta risposta, anche agli altri istrici iniziarono a crescere nei appuntiti sulla schiena e piano piano, nessuno di loro tentò più di abbracciarsi per paura di farsi male. Anche il terreno della valle, da morbido divenne arido e pieno di spine, finchè un giorno, il vento dell’Ovest portò un’ignara ballerina di cumbia villera nel villaggio degli istrici nudi. Zahira, così si chiamava la sinuosa danzatrice di ebano, iniziò a ballare a ritmi vertiginosi sulle punte irsute delle strade di terra e presto l’aria si riempì di gelsomino e curcuma, di risvegli e nostalgie, di segreti tra donne e zucchero filato.
La nuova arrivata presto si rese conto che nella valle qualcosa non andava, nessuno le parlava e appena la vedevano, gli istrici scappavano nelle spigolose spaccature delle rocce. Zahira continuò a ballare ogni giorno e Bebo, che la osservava dal suo rifugio, se ne innamorò perdutamente.
Con tutto il coraggio che i guerrieri e gli dèi mai conobbero, al quarantaduesimo giorno di danze, si unì ai piedi veloci di lei. L’attrazione fu reciproca e i due continuarono a ballare insieme ogni giorno. I duri peli di Bebo, con il ballo persero la loro stabilità e la schiena dell’istrice innamorato tornò ad essere liscia, pronta ad accogliere le carezze di Zahira. L’idillio durò almeno un decennio, durante il quale anche gli altri istrici danzarono, perdendo quasi tutte le spine. La valle sembrava rinata, ma una sera d’inverno, in una giravolta stridente, Zahira se ne andò e nessuno la vide mai più. I racconti delle comari la giudicarono con aspre parole da bocca di rosa, ma Bebo raccontò che fu la sua paura ormai radicata a spingerla lontano. A breve gli aculei ricominciarono a crescere, ancora più duri e spessi, su tutti e dappertutto. Nessun altro osò più avvicinarsi alla valle degli irsuti mammiferi e da allora, la specie degli Hystrix cristata Linnaeus divenne nota come quella degli eremiti spinosi, scontrosi e schivi. Ancora oggi, gli istrici si aggirano solo di notte per paura di incontrare chicchessia e quando sono spaventati, innalzano barriere insormontabili per nascondere le loro fragilità, dando l’impressione di essere assai più grandi e robusti di quanto in realtà non siano. Pareri ottimisti dichiarano che se un qualsiasi Bebo ricominciasse a ballare, nel giro di tre generazioni gli istrici perderebbero il loro cappotto di spine e tornerebbero nudi come un tempo; ma chi sarà disposto a spogliarsi delle proprie difese dopo tutte queste ferite? Quanti strizzerebbero tra le dita lo stelo di una rosa pieno di spine conoscendo il dolore che tanta bellezza può provocare?
[fonte per le parti tecniche: wikipedia]
© Lisa Gelli, giugno 2015